Questa settimana vi propongo un breve stralcio da questo articolo trovato qui:
OMEOPATIA E LINFOCITI
di A. Micozzi, S. Graziosi, R. Femia, G. Santini
Dice Cushing: un medico è tenuto a prendere in considerazione non tanto un organo ammalato, e neppure l'intero individuo, bensì l'uomo nel mondo in cui vive. Sotto questo aspetto, il complesso delle interazioni, che l’individuo stabilisce con l’ambiente, nel corso della sua vita, è costituito dall’insieme delle risposte agli stimoli esterni. Tali stimoli possono essere di varia natura, in modo da indurre risposte sempre più complesse, che tendono a coinvolgere l’uomo nella sua globalità. Molto importante, al riguardo, sembra essere il periodo di latenza tra lo stimolo e la risposta. Il sistema endocrino, a parte alcune eccezioni, quali le funzioni del timo, tenderà a produrre una serie di risposte immediate, che dipendono, sostanzialmente, dalla breve emivita degli ormoni. Esempi evidenti sono dati dalla produzione di insulina alla introduzione del cibo nello stomaco o, ancor più, le reazioni surrenaliche di allarme agli eventi imprevisti. In alcuni casi, comunque, lo stimolo ambientale può interferire con l’intima struttura funzionale delle cellule, soprattutto a livello del nucleo. Da qui una serie di conseguenze imprevedibili, tali da condurre, con un periodo di latenza anche molto variabile, alla trasformazione cellulare in senso degenerativo o neoplastico. Quelle fisica (radiazioni ionizzanti) e chimica (sostanze inquinanti e tossiche di varia natura) rappresentano validi esempi di interazione critica, nelle quali l’individuo, in realtà, subisce in modo quasi ineluttabile gli stimoli esterni. In altri casi, le risposte tendono a essere memorizzate
o, addirittura, personalizzate, e costituiscono lo “spessore” psichico, ossia la somma delle esperienze accumulate nel corso della vita, tali da indirizzare o, in senso patologico, condizionare, le successive risposte e, quindi, il comportamento complessivo dell’individuo. La notevole complessità della strutturazione psicologica, però, mette in evidenza il rischio di indeterminatezza e di interpretazione dei fenomeni emotivo/comportamentali, i quali richiedono una profonda conoscenza della dimensione spazio/temporale sperimentata da una persona nel suo ambiente. Questo “limite ermeneutico” pone, oggettivamente, qualche difficoltà nella comprensione formale del comportamento, anche se lo studio della psiche condensa i molteplici meccanismi con i quali l’individuo sperimenta, in sé, la triade stimolo/risposta/memoria. Una condizione del tutto analoga, ma con delle ricadute pratiche di notevole rilevanza, è rappresentata dalla cosiddetta “interazione biologica”, ossia dall’insieme delle risposte linfocitarie agli stimoli infettivi. Dopo una fase storica, nella quale la medicina ha avuto modo di liberarsi completamente dalle congetture e dai dogmi dell’umoralismo, mediante l’avvento prorompente della microbiologia, ossia lo studio dell’ambiente biologico, si è avvertita la necessità, sempre più marcata, di comprendere le modalità con le quali l’individuo diventa malato, dapprima concedendo alla immunologia una limitativa nozione di difesa, ma in seguito considerandola all’origine degli stati patologici acuti e cronici. Seguendo l’antica “stoa” e la moderna immunopatologia, possiamo ben affermare che l’individuo risponde a uno stimolo esterno con il “pathos”, ossia con una condizione di sofferenza (da cui il termine “paziente”) ben più complessiva del concetto latino di “malattia”, per il quale il “malum” si impadronisce del “malato” a tal punto, da indurre gli umoralisti a evacuare una improbabile “materia peccans”. Lo stesso concetto di “immunitas”, legato alla iniziale evidenza di una protezione ai successivi stimoli infettivi di identica natura, limita fortemente a un solo aspetto, l’insieme dei meccanismi che inducono pathos, il quale si verifica proprio nel momento in cui si risponde. Un esempio di tale risposta è dato dall’allergia, nella quale uno stimolo specifico (l’allergene) è in grado di provocare una risposta immediata, nella maggior parte dei casi sistemica e altamente selettiva. In altri casi, tuttavia, le manifestazioni cliniche non hanno un rapporto causa/effetto così evidente, ma sono mediate proprio dal tempo. Sotto questo aspetto, è noto che il periodo di incubazione di una epatite A coincide con una serie di meccanismi graduali: legame del virus con i recettori (presenti sui macrofagi/monociti), viremia, processazione dell’antigene e sua presentazione sulla membrana degli epatociti, riconoscimento da parte dei linfociti citotossici, mediante recettori specifici, necrosi epatica conseguente, sintomatologia di stato. Questo esempio, estremamente semplificato, può contribuire a spiegare la nozione di “immunopatologia”, intesa come la conseguenza clinica (comprendente sintomi soggettivi e segni obiettivi) di una risposta specifica a uno stimolo altrettanto specifico. Nella sua interazione biologica con l’ambiente, pertanto, l’individuo si ammala solo quando è in grado di rispondere. Ciò permette di comprendere anche le nozioni di suscettibilità o resistenza agli agenti patogeni, le quali vanno intese nel senso, rispettivamente, della presenza o assenza di recettori e corecettori linfocitari, specifici per gli antigeni.
Per il momento mi fermo a lasciarvi riflettere su queste parole. Mi propongo di tornare sull’argomento per sviluppare altri filoni del ragionamento
NOTA
L'immagine è un'opera di Vincente Romero Redondo
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