- effetti uditivi;
- effetti extrauditivi.
la sensibilità e la reattività individuale, la saturazione sensoriale, il timbro del rumore, la possibilità di controllo dell'emissione sonora, l'atteggiamento motivazionale del soggetto esposto, il numero e la distribuzione spaziale delle sorgenti, l'identificabilità della natura del rumore e della localizzazione della sorgente, l'età, l'acuità uditiva e, secondo alcuni studi, anche il sesso dei soggetti esposti (Cosa et al., 1990).
Ecco come rovinarsi l'udito
“Un solo concerto rock o un'unica partita allo stadio potrebbero bastare per provocare danni permanenti all'udito. Lo sostiene una nuova linea di studi secondo i quali una singola esposizione a rumori forti - ma non necessariamente assordanti - può provocare la morte di alcune terminazioni non isolate delle fibre nervose che connettono l'orecchio interno al cervello.
Un'unica esposizione a rumori forti ma non assordanti potrebbe essere sufficiente a provocare un danno irreparabile ai nervi del sistema uditivo. Questo è il messaggio di una nuova linea di ricerca che potrebbe spiegare perché molte persone, specialmente con il passar degli anni, fanno fatica a isolare una conversazione dalla barriera del rumore di fondo, che è una costante di qualsiasi incontro di football o pranzo in un ristorante affollato.
Uno studio condotto negli ultimi cinque anni sugli animali - e alcuni nuovi dati provenienti dalla ricerca sull'uomo - stanno ribaltando storiche convinzioni sulla perdita dell'udito. In precedenza si credeva che l'unico effetto indesiderato dell'esposizione a rumori come quelli di una partita di calcio fosse la fastidiosa sensazione temporanea di avere le orecchie tappate, ma che in seguito le funzioni uditive tornassero quasi o del tutto normali.
L'idea era che ci volessero anni, se non decenni, di traumi alle nicchie sensibili dell'orecchio interno per uccidere le minuscole cellule ciliate nella cavità di endolinfa dove le vibrazioni delle onde sonore sono convertite in segnali elettrici per essere poi processate all'interno dell'encefalo. Solo la morte delle cellule ciliate (nella coclea) era ritenuta capace di compromettere l'abilità di udire distintamente nella confusione del chiasso diurno. (Ovviamente, anche stare pochi secondi vicino al motore di un jet senza dispositivi di protezione sarebbe sufficiente a uccidere sul colpo tutte le cellule ciliate.)
Ma la descrizione dei libri di testo di ciò che capita alzando il volume potrebbe rivelarsi inadeguata per spiegare quello che succede ai molti milioni di persone che soffrono di perdita dell'udito indotta dal rumore. M. Charles Liberman e Sharon G. Kujawa, due neuroscienziati che studiano il sistema uditivo all'Harvard Medical School e al Massachusetts Eye and Ear Infirmary, hanno scoperto che le cellule ciliate possono sopravvivere a un concerto rock o a una festa scatenata, ma che le fibre nervose connesse che incanalano i segnali elettrici all'encefalo potrebbero invece subire danni permanenti.
L’ipotesi del dr Liberman è che, in condizioni di elevata rumorosità, le cellule ciliate rilascino nello spazio sinaptico un eccesso di molecola segnale - il neurotrasmettitore glutammato. In un periodo che oscilla da qualche mese a qualche anno, la disconnessione delle fibre porta alla morte dell'intero neurone, di cui il nervo sinaptico non è che una lunga estensione.
Le cellule ciliate si trovano nella coclea e servono a trasformare l'impulso meccanico delle onde sonore in impulso elettrico.
Nell'uomo ci sono fino a 25 fibre nervose per ognuna delle 4000 cellule ciliate destinate alla conversione dei segnali uditivi. Quando alcune di loro muoiono, l'impatto iniziale sull'udito sarebbe minimo; se però esposizioni ripetute a suoni forti provocano una perdita continua di queste cellule, si verificherebbe un lento declino nell'acutezza dei suoni captati dalle orecchie. "Si può fare un'analogia con quello che accade quando si riducono i pixel di un'immagine: si capisce sempre che rappresenta qualcosa ma non si può più dire di cosa si tratta".
Un audiogramma tradizionale non permette di rilevare la perdita di risoluzione uditiva perché misura solo se le cellule ciliate sono in grado di captare un suono di una certa elevatezza e frequenza. La soglia di rilevamento si alza dopo l'esposizione a un suono molto alto ma col passare di qualche ora o di qualche giorno, spesso torna ai livelli normali. Anche se l'esposizione al suono comportasse la morte del 90 per cento delle cellule nervose, l'audiogramma potrebbe apparire del tutto normale. In questo caso, l'individuo riuscirebbe ancora a sentire un amico che parla dall'altro estremo della tavola durante una cena, ma non a distinguere le singole parole.
Liberman e Kujawa vogliono anche determinare se una simile perdita di fibre nervose ha un ruolo negli acufeni (fischi nelle orecchie), se provoca effetti sul sistema vestibolare uditivo e se compromette l'equilibrio.
Paul Fuchs, professore di neuroscienze e ingegneria biomedica al John Hopkins University dice: "La perdita di udito per sinaptopatia è un'importante elemento nuovo che migliora la nostra comprensione del sistema uditivo e della sordità, soprattutto perché i nuovi dati mostrano che tali danni possono essere dovuti a esposizioni a rumori che in precedenza si credevano innocui."
Se queste prove continuano ad aumentare, le politiche di sanità pubblica dovranno cominciare a tenerne conto. Liberman pensa che le ripetute esposizioni a rumori si possano paragonare ai tanti piccoli traumi subiti dai giocatori di football durante tutta la carriera, molto prima che venga loro diagnosticata una forma di demenza detta encefalopatia traumatica cronica (CTE).
"Ci sono molte somiglianze con la CTE," dichiara. "Rimani stordito da un trauma, ti senti meglio e credi di aver schivato la pallottola, per cui torni in campo e ricominci. Trent'anni dopo, il tuo cervello è diventato di pastafrolla e soffri di molti tipi di problemi."
L'udito funziona in modo simile, dice. "Piccoli, impercettibili danni corporei col tempo si fanno sentire." E qualsiasi esposizione continuata a suoni sopra i 100 decibel potrebbe causare uno di quei piccoli, impercettibili danni, secondo Liberman".
Danni extra-uditivi
Dei circa 6 mila casi emersi nel 2010 il 16% riguardavano lavoratori che operano nel settore dell’industria e dei servizi, con un picco del 25% al Nord-Ovest e al Sud, e l’8% soggetti che sono impiegati nel settore agricolo".
Secondo i dati Ocse l'inquinamento acustico ambientale è attribuibile per il 63% al traffico stradale, per il 20% agli impianti industriali, per il 14% al traffico aereo e per il 6% a quello ferroviario.
Inoltre, l’esposizione a rumore superiore a 140 decibel di picco possono portare un danno irreversibile al timpano (il rumore di urti e esplosioni). Per questo nell’ambiente di lavoro è necessario limitare i rumori impulsivi e proteggersi se si praticano attività a rischio come la caccia e il tiro a segno".
NOTA
Tratto da: lescienze.it”