STORIA DELLE BABBUCCE DI ABU KASEM
sabato 25 giugno 2011
Storia delle babbucce
STORIA DELLE BABBUCCE DI ABU KASEM
Abu Kasem era un mercante di Bagdad tanto ricco quanto avaro. Portava delle babbucce piene di toppe come non aveva neanche il più povero dei suoi servi.
Queste babbucce erano diventate proverbiali nella regione; se si voleva esprimere qualcosa di assurdo, venivano citate come esempio.
Un giorno Abu Kasem acquistò una preziosa partita di bottigliette di cristallo ad un prezzo stracciato. A questo acquisto abbinò quello di una voluminosa ed altrettanto preziosa quantità di olio di rose, preso da un profumiere che era andato in fallimento.
Si trattava di un fortunatissimo affare.
Per festeggiare l’occasione Abu decise di concedersi il lusso di recarsi al bagno pubblico dove non lo si vedeva da parecchio tempo.
Nell’atrio incontrò un amico che per l’ennesima volta lo prese un po’ in giro per lo stato deplorevole delle babbucce e lo esortò a comperarsene un paio nuovo.
Mentre Abu Kasem si godeva il bagno insieme all’amico, entrò il cadì di Bagdad.
Abu Kasem terminò di lavarsi prima del potente giudice, tornò nello spogliatoio e si vestì. Ma dove erano finite le sue babbucce? Erano sparite. Al loro posto ce n’era un altro paio, bellissimo e apparentemente nuovo.
Forse era un regalo, una piccola sorpresa da parte del suo amico che giustappunto aveva inscenato il predicozzo prima del bagno? Quasi certo dell’esattezza di questa ipotesi, Abu indossò le babbucce, ben contento di non dover scucire nulla per l’acquisto di quelle nuove, e se ne tornò a casa.
Quando il cadì uscì dal bagno scoppiò i finimondo: i suoi schiavi non riuscivano a trovare le babbucce del padrone.
Ce n’era dolo un paio orrendo e rattoppato, che tutti riconobbero essere le scarpe di Abu Kasem.
Così il giudice fece arrestare Abu, il quale dovette sborsare un sacco di soldi per liberarsi dalla prigione. Le sue vecchie babbucce gli furono restituite.
Una volta a casa, in preda alla rabbia, Abu gettò l’oggetto della sua disgrazia fuori dalla finestra; queste furono spinte dal vento nelle acque del Tigri, che scorreva lì vicino. Qualche giorno dopo alcuni pescatori credettero di aver catturato nel fiume un pesce grosso, ma erano solo le babbucce, la cui chiodatura scoperta aveva strappato le loro reti. I pescatori, pieni di rabbia, scagliarono le babbucce sporche e inzuppate di fango dentro la finestra aperta di Abu.
Queste caddero sopra il tavolo dove erano esposte le preziose bottigliette di cristallo ora piene del prezioso olio di rose e pronte per essere vendute.
Inutile descrivere il dolore e la frustrazione di Abu a questo punto!
“Maledette babbucce” urlò il poveretto “non mi farete più altri danni”. Così dicendo prese una vanga, andò in giardino e scavò una buca per sotterrare le babbucce. Ma questa silenziosa impresa venne notata dal vicino.
“Lo spilorcio in persona, che ha un sacco di schiavi al suo servizio, scava segretamente una buca nel giardino: deve trattarsi sicuramente di un tesoro” pensò il vicino, e con questo sospetto andò di corsa dal governatore a denunciare Abu; infatti secondo la legge del luogo, qualunque ricchezza venga trovata sottoterra appartiene al Califfo.
Così Abu venne di nuovo arrestato e dopo aver raccontato più volte l’incredibile verità, venne rilasciato sempre dopo pagamento di una considerevole multa per aver scomodato le autorità con il suo comportamento sospetto.
Allora Abu decise di provare a liberarsi delle babbucce portandole fuori città. Trovò uno stagno e le fece colare a picco. Ma lo stagno era una riserva idrica che approvvigionava le condotte d’acqua potabile della città.
Le babbucce otturarono il tubo di alimentazione e lo bloccarono. Arrivarono i custodi delle acque per riparare il danno e trovarono le famose babbucce... così Abu venne di nuovo denunciato, questa volta per inquinamento dell’acqua potabile, e di nuovo ebbe la multa.
Allora Abu decise di bruciarle. Ma dato che erano ancora bagnate, le mise sul balcone ad asciugare esposte al sole. Un cane, dal balcone del vicino, vide questi strani oggetti e con un salto arrivò al balcone di Abu per giocarci. Mentre giocava, una di esse cadde dal balcone e finì proprio sulla testa di una donna incinta che in quel momento passava lì sotto. Lo spavento improvviso e l’impatto violento fecero perdere il bambino alla donna. Il marito corse dal giudice per ottenere un risarcimento del danno. Abu, ormai in preda al delirio di rabbia, pagò ancora questa multa.
Prima di tornare a casa però volle dire al giudice:
“O signore, questo è l’oggetto funesto di tutte le mie sofferenze. Ti prego, ordina che io non venga reso più responsabile dei danni che senza dubbio continueranno ad arrecare!”
Il giudice, avendo sentito tutta la storia, non se la sentì di rifiutare la richiesta di Abu Kasem. Infatti l’avaro aveva imparato a caro prezzo a conoscere la sventura che capita a chi non provvede a sostituire abbastanza frequentemente le proprie babbucce.
Questa fiaba -leggenda l’ho tratta dal libro “Racconti dall’India” di H. Zimmer, dove oltre a racconti indiani sono citate anche storie dell’Oriente in generale.
Si tratta di un esempio abbastanza colorito, di come una persona possa danneggiare se stessa proprio per mezzo della sua tendenza preferita. In realtà Zimmer ne dà una spiegazione molto approfondita sul piano simbolico.
Sul piano della salute questa storia si può applicare in diversi modi diametralmente opposti eppure tutti validi.
(1) A causa del nostro rifiuto o comunque ritardo o difficoltà ad attuare cambiamenti nel nostro stile di vita, ci troviamo esposti ad una serie di gravi danni. Ma questi sono causati proprio dal nostro comportamento che insistiamo a mantenere credendolo l’unico possibile o l’unico giusto, anche se esso non ci ha dato prova di efficacia. Semplicemente ci siamo “affezionati” ad un certo comportamento, lo abbiamo adottato in via definitiva solo perché all’inizio era andato bene. Ma la vita cambia continuamente e le nostre relazioni pure e l’intreccio delle situazioni è sempre più complesso di quanto crediamo perciò guai ad avere una risposta preconfezionata.
(2) Dobbiamo essere pronti a cambiare per tempo certe abitudini errate. In caso contrario, quando è troppo tardi per farlo, questo tentativo si ritorce contro di noi perché ormai le circostanze stesse ci tengono inchiodati ad un dato ruolo e cercare di scardinarlo può essere doloroso come scardinare una parte di noi stessi. In parole povere meglio convivere con un piccolo disturbo cronico che attuare una rischiosa operazione chirurgica il cui esito è incerto; a questo proposito basti pensare al garzone di farmacia del romanzo Madame Bovari, che, essendo claudicante, fu convinto dalle insistenti e sconsiderate pressioni del farmacista e del medico a subire un’operazione per poter camminare: operazione che invece ebbe l’esito di fargli amputare la gamba!
(3) E’ importante rinnovare e ri-alimentare certe situazioni così come facciamo con le nostre calzature, per evitare che invecchino troppo e diventino il nostro carcere.
(4) la quarta so bene che è una considerazione apparentemente superstiziosa, ma a mio parere si tratta di un’idea da tener presente.
Finché Abu restò attaccato alle sue vecchie babbucce, queste gli favorirono affari fortunati.
Dal momento in cui cercò di liberarsene, esse si rivoltarono contro di lui come se fossero animate di vita propria.
Se nella storia (che in realtà è lunga e come tutte le storie arabe riporta un ampio epilogo dove spiega la morale) le scarpe rappresentano la prova visibile dell’avarizia del loro titolare (un po’ come il ritratto di Dorian Gray raffigurava la bruttezza e decadenza della sua anima), nella mia interpretazione parallela possono rappresentare l’opposto: un attaccamento affettivo a quell’oggetto che ci ha sempre accompagnato e del quale la sola vecchiaia non può rappresentare motivo sufficiente per l’abbandono. Dovrebbero essere amate e rispettate, magari conservate come cimelio, giammai gettate!
Impariamo quindi ad amare e rispettare i nostri errori e le nostre malattie: non certo per ripeterli, quanto per le cose che ci hanno insegnato e continuano a insegnarci:
sbagliando si impara
se non ci fosse la notte non si conoscerebbe il giorno
...e così via.
Tutto questo per dire cosa?
Che quando facciamo un bilancio della nostra vita e vogliamo attuare una svolta, dobbiamo considerare la situazione contemporaneamente sotto molte sfaccettature.
Lo stesso vale quando intraprendiamo una terapia.
STOP
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Informazioni personali
- Marina Salomone
- Mi occupo di terapie olistiche dal 1983. Hobby principale il disegno: sono su Flickr sotto il nome di Marina Salomone
per chi fosse interessato a trattare questi argomenti in maniera più appofondita c' è sempre il mio sito web ufficiale: www.GurudiTamara.com
PER ADESSO, visto l'ora...ti lascio solo i saluti, poi torno a leggere con calma.
RispondiEliminaTi ringrazio molto per aver inserito le mie opere...urrahhhh ti piacciono!!!
ciaoo Mari
Un bellissimo post, Marina! Non solo per l'incredibile fiaba orientale che ho letto con vero piacere, ma anche per le tue considerazioni. Trovo anch'io, perchè ne ho fatto esperienza in passato, quanto sia difficile attuare cambiamenti: non solo noi infatti, ma anche le altre persone, abituate a certi aspetti del nostro carattere, sembrano opporsi alla formazione di nuovi comportamenti. Quindi non bisogna mai fossilizzarsi...Ciao!
RispondiEliminac'è molta verità in questo post,la fiaba,con i suoi simbolismi ci induce a riflettere,grazie Marina,buona serata
RispondiEliminaeccomi Mari...come promesso.
RispondiEliminaHo letto con molto interesse e come sempre le tue considerazion finali sono molto efficaci.
Duro metterle in pratica ma in effetti è tutto oro colato ciò che dici.
La classica frase....ho sempre fatto così...è da bandire assolutamente e non ha motivo di essere, perchè oggi è senz'altro diverso da domani e così via.
Io ne sono più che convinta, ma come tutti gli essere umani, mi è molto difficile perdere certe abitudine, seppur dannose, ed acquisire uno stile di vita che nn fa parte di me,anche se più salutare.
Oh..signor..la faccio lunta :-)))
ciaooo MARI...buon tutto.